Leonor, di Diego Galdino

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Dea.Pollon
view post Posted on 1/12/2009, 20:06




CAPITOLO I




La pioggia continuava a cadere incessantemente e ormai cominciavo a farmene una ragione: quella mattina avrei dovuto rinunciare alla mia passeggiata. Da qualche anno era diventata una piacevole abitudine. Come la temperatura si faceva più mite, annunciando l'estate, prendevo ad alzarmi prestissimo, mi mettevo la vecchia tuta da jogging di quando andavo all'università di
Plymouth e uscivo di casa con la mia bicicletta rossa, dirigendomi a grandi pedalate verso le scogliere di Land's End. Ogni mattina si compiva questo rito. Adoravo sentire la brezza accarezzarmi il viso, godevo nel respirare a pieni polmoni mentre la bici prendeva velocità: sentivo la staticità del tempo interrotta dal mio passaggio, con il sibilo delle ruote così acuto in
quel silenzio quasi irreale. Poi, come d' incanto, appariva l'oceano e più mi avvicinavo e più il rumore delle onde diventava intenso. Mi ci avvolgevo, dentro quel fragore, e ogni giorno era come rinascere, riscoprendo scoprire nuove e antiche emozioni, in un paesaggio da favola fatto di streghe, maghi, cavalieri e bellissime principesse.
Dopo aver lasciato la bicicletta in un posto sicuro, mi incamminavo su per le scogliere e, seguendo il sentiero, iniziavo il mio viaggio verso sensazioni indescrivibili. Le onde impetuose schiaffeggiavano quell'immenso muro naturale ininterrottamente. Il vento faceva arrivare gli spruzzi d'acqua fino in cima e un'infinità di piccolissime gocce danzavano davanti ai miei occhi, quasi avessero vita.
Qualche volta, mi piaceva togliermi le scarpe e andare a piedi nudi sull'erba soffice e inumidita dalla fresca rugiada del mattino. Poi, prima di ritornare indietro, amavo starmene seduta per un po' di tempo a fissare l'Oceano. In quei brevi momenti pensavo a mia madre. Erano già passati
quindici anni da quando era morta. La sua scomparsa mi aveva lasciato dentro un segno profondo: eravamo molto unite e perderla così all'improvviso fu per me un colpo tremendo.
Quando ero una bambina dai mille perché, era solita dirmi:
"Vedi Leonor tu sei stata molto fortunata a nascere a Penzance perché è un posto magico dove le persone hanno la possibilità di vedere l'arcobaleno tutti i giorni della loro vita.
I suoi colori faranno in modo che tu sia sempre serena, che ci sia il sole o che piova. Qui sarai sempre felice."
Solo adesso, guardandomi intorno, riesco a rendermi conto di quanto mia madre avesse ragione; l'oceano alle prime luci del mattino, gli innumerevoli fiori che sbocciano sulle scogliere sbirciando, con fare curioso, la lucida sabbia rosa della spiaggia di Sennen. Questi colori insieme creano un posto unico. il mio arcobaleno. La mia casa.
Non mi pentirò mai della scelta che ho fatto, finché avrò nelle mie mani questa tavolozza colorata di emozioni.
"E' inutile che continui a guardare fuori, oggi il tuo pescatore ti aspetterà invano"
"Il mio cosa?"
"Dai Leonor , ormai lo sa tutta Penzance che ogni mattina vai a Land's End per incontrarti con un bellissimo pescatore e fate l'amore sdraiati tra i fiori e l'erba delle bianche dune della Cornovaglia."
"Papà, come ti permetti d'insinuare una cosa del genere? Ma davvero la gente pensa questo di tua figlia ?" Il viso di Adam Francis s'intristì per un momento.
"No, stavo scherzando, ma a me non dispiacerebbe se fosse tutto vero."
Capì cosa intendeva suo padre. Dietro quelle parole, dietro quel gioco amaro, si nascondeva tutto il rimorso di Adam, per non aver impedito che Leonor rinunciasse ai suoi sogni e ad una brillante carriera proprio per rimanergli vicino. E lui, in fondo, tutto questo non sè lo era mai perdonato.
"Papà, lo sai che io amo un uomo soltanto ed è qui in questa stanza "
Il sorriso di Adam fece capire che le ostilità erano finite.
"Perfetto figliola, dopo che avrai fatto uscire quell'uomo di cui parli da dentro la mia credenza, puoi cominciare a preparare la colazione."
Dopo aver mangiato ed essersi vestita, Leonor era pronta per un'altra giornata di lavoro. Prese le chiavi della macchina e si diede un'ultima occhiata allo specchio. Forse aveva ragione suo padre, doveva cercarsi un pescatore, prima che i suoi bellissimi capelli castani cominciassero a
tingersi di bianco. In fin dei conti, i corteggiatori non le erano mai mancati; innumerevoli
mazzi di fiori erano stati recapitati in biblioteca per la bella direttrice Leonor Francis, ma lei, in questo caso, compiva quasi meccanicamente un altro rito. Li depositava nel solito vaso sopra la sua scrivania, buttava il biglietto nel solito cestino, e completava le operazioni con una cortese
telefonata di ringraziamento, usando la solita scusa di dover lavorare fino a tardi per declinare ogni eventuale e successivo invito. Cercava qualcosa di più di una semplice avventura, Leonor. Voleva un uomo speciale. Nel lavoro si era dovuta accontentare di dirigere la biblioteca di una piccola città di provincia, perché quello era il meglio che si poteva avere a Penzance, ma in amore non avrebbe rinunciato alla sua borsa di studio. Se necessario sarebbe stata ad aspettarlo fino alla fine dei suoi giorni, ma questa volta voleva il meglio, se lo era meritato. Certo, come diceva suo padre, il sesso era importante, ma per lei non era fondamentale. Leonor desiderava degli occhi limpidi in cui specchiarsi; vedere se stessa finalmente felice.

Stava per chiudere la porta, quando sentì suo padre che la chiamava dal bagno.
"Che cosa vuoi papà? Così mi farai arrivare tardi al lavoro".
Adam si presentò con indosso un accappatoio di un colore assurdo.
"Scusa, cara , è che mi sono scordato a che ora deve arrivare tua sorella."
Leonor non si lasciò sfuggire l'occasione per burlarsi di suo padre.
"Allora dovrò dire al mio bel pescatore di darmi più pesce. Hai bisogno di fosforo, la vecchiaia comincia a fare brutti scherzi alla tua memoria. Comunque, Meg arriverà da Parigi all'aeroporto di Londra nel primo pomeriggio e da lì prenderà il treno per arrivare a Penzance, se non ci saranno dei ritardi, a notte inoltrata".
Un sorriso radioso illuminò il viso di Adam. Stava per dire qualcosa, quando Leonor lo interruppe
"E il suo fidanzato arriverà domani mattina, è questo che stavi per dirmi non è vero? Non stai più nella pelle al pensiero che finalmente lo conoscerai. Spero tanto che non rimarremo delusi."
"Cosa vuoi che ti dica cara: sono curioso di vedere chi è riuscito a mettere la museruola a quella indiavolata di tua sorella."
"A sentire Meg è un uomo meraviglioso, L'ultima volta che mi ha chiamato, parlava già di matrimonio. Sicuramente è molto innamorata e anche lui deve esserlo, se è riuscito a sopportarla per più di un anno."
Una parca risata di Adam accompagnò Leonor fino allo sportello della macchina.
Lungo il tragitto da casa alla biblioteca, non poté fare a meno di pensare a Meg. Le aveva fatto da mamma, era diventata la sua migliore amica, aveva incoraggiato il suo talento e adesso che, appena venticinquenne, era considerata uno dei più grandi talenti della pittura contemporanea europea, sapeva che il suo compito era terminato.
Quando leggeva sui giornali articoli riguardanti Meg, capiva quanto era stato importante rimanere a Penzance. Vedere quella biondina, con i suoi occhioni azzurri, fare bella mostra di sé davanti a un suo quadro sulle pagine delle riviste d'arte più importanti, le riportava alla mente la
bambina che s'infilava nel suo letto per paura dei lampi, durante i temporali: Al ricordo dei suoi abbracci intirizziti, gli occhi si velarono di lacrime.


CAPITOLO II

Aveva appena cominciato ad albeggiare. Quando Leonor si svegliò ed iniziò a prepararsi per andare a fare la solita passeggiata a Land's End. Scese lentamente le scale, cercando di fare il più piano possibile per non svegliare suo padre e soprattutto il loro ospite. Mentre stava per uscire, si accorse che la stanza di Giorgio aveva la porta aperta. Preoccupata, che gli fosse successo qualcosa, si avvicinò e guardò dentro la camera. Il letto era disfatto, ma di lui non vi era nessuna traccia. Sorpresa, cominciò a chiedersi dove poteva essere andato così presto. Ma, passando davanti al soggiorno, con la coda dell'occhio vide qualcosa che attirò la sua
attenzione. Lo trovò rannicchiato sul divano che dormiva profondamente.
La prima cosa che pensò, fu che forse il letto della sua stanza fosse troppo duro e scomodo per le sue abitudini. E quindi avesse preferito venire a dormire lì. Leonor, ritornò di sopra, andò in camera sua e dall'armadio tirò fuori una coperta. Tornò in soggiorno e la pose con molta delicatezza su Giorgio. Così vicina non poté fare a meno di chiedersi: perché gli uomini quando dormono hanno tutti un espressione così angelica?
Finalmente uscì di casa, prese la bici e si diresse verso le scogliere.Quando ritornò, due ore dopo, entrando in casa si accorse che suo padre e Giorgio erano già usciti. Così si fece una doccia, si truccò e si vestì per andare al lavoro. Prima però, andò in cucina per fare colazione e lì, sul tavolo trovò un biglietto con su scritto:
"Grazie per la coperta, sei stata molto gentile. Firmato Giorgio."
Leonor sorrise.
Finì di bere il suo caffè, mangiò qualcosa velocemente e uscì di casa per andare in biblioteca.
Li ritrovò la sera in veranda, che giocavano a scacchi, Adam la sentì arrivare e smise per un attimo di giocare.
"Ecco la mia figliola di ritorno dal lavoro! E' stata una giornata faticosa?"
"Non più di tante altre, Papà."
"E dimmi Leonor la tua segretaria è ancora innamorata di me?"
Pronunciò quella domanda ammiccando a Giorgio. Leonor non si fece pregare e con aria divertita gli rispose.
"Da quando sei andato in pensione, è disperata e la notte non riesce a chiudere occhio. Come qualcun altro qui presente."
Giorgio, fece un leggero colpo di tosse, sentendosi chiamato in causa.
"A proposito Leonor. Grazie ancora per la coperta, è stato un pensiero molto gentile. Come hai potuto vedere, la notte ho una grossa difficoltà a prendere sonno. Così inizio a vagare per casa; arrivo in soggiorno, mi metto seduto sul divano, e dopo neanche un minuto, sto già dormendo profondamente."
Adam si alzò dalla sedia e fece per entrare in casa.
"Si è fatto tardi! Vado a preparare la cena."
"Ti serve una mano papà?"
"No cara, resta pure seduta, rilassati. Chiedi a Giorgio di raccontarti quali posti meravigliosi gli ho fatto vedere stamattina."
Leonor posò la sua ventiquattrore per terra, mettendosi seduta su uno degli scalini della veranda.
"Allora? Ne è valsa la pena farti venire le vesciche ai piedi?"
Giorgio fece finta di soffiare sotto la suola della scarpa.
"Scherzi? E' stato fantastico! Tuo padre è una guida turistica portentosa. Per iniziare, mi ha portato a visitare Monte S. Michael. Facendomi salire sui bastioni e sulla torre, per ammirare lo stupendo panorama. Che vista fantastica! Poi siamo stati a Land's End. A proposito. Mi ha detto Adam, che è lì dove vai a fare le tue passeggiate mattutine. Ha parlato anche di un certo
pescatore... ma non ho capito bene cosa intendesse."
Leonor, sentendo quelle parole alzò gli occhi al cielo portandosi una mano alla fronte. Giorgio continuò con il suo racconto.
"Appena dopo l'alba deve essere il momento ideale per passeggiare su quelle scogliere. Senza nessuno intorno che ti rompa le scatole. Lo dico perché quando siamo arrivati io e tuo padre invece, c'erano tre pullman di turisti che avevano invaso il posto, urlando e scattando centinaia di fotografie."
"Mi fa piacere, che tu ti sia potuto rendere conto, di quanto basti poco per alterare la bellezza di un posto così meraviglioso. Quei turisti, non hanno visto le 'vere' Land's End. E purtroppo, non le hanno fatte vedere neanche a te. Ma non ti preoccupare, avrai modo di rifarti nei prossimi giorni. Ma dimmi, dove altro ti ha portato di bello il mio 'caro' papà?"
"Da lì ci siamo diretti verso Saint Ives. Tuo padre ha insistito affinché io la vedessi. Mi ha raccontato che dalla metà dell'ottocento, questa piccola cittadina, fu invasa da centinaia di pittori impressionisti e naturalisti. Attratti dai cangianti colori di questo piccolo gioiello, intarsiato nelle rocce, delle più belle scogliere d'Inghilterra. Tu capisci. Come potevo non vederla?"
"Ed era proprio così bella come te l'aveva descritta mio padre?"
"Scherzi? Mi ha fatto tornare in mente le parole di uno scrittore che davanti ad un'opera d'arte disse: 'Questa è un'esca che persuade l'occhio'. Ti giuro, sono rimasto letteralmente senza parole. Dovrebbe essere messa sotto una campana di vetro; spero che la gente del posto riesca a mantenerla per sempre tale e quale com'è adesso. Sarebbe un delitto rinunciare a una
cosa così bella."
Leonor fu contenta, di sentirlo parlare con tanta enfasi, di quella piccola cittadina della Cornovaglia. Lei nutriva la sua stessa speranza. Quei posti, sarebbero dovuti restare inviolati, nella loro selvaggia bellezza, per sempre.


CAPITOLO III




Appena entrarono nel ristorante, il brusio di voci cessò di colpo. Vedere Adam in quel posto lasciò tutti sorpresi, a cominciare dal proprietario, un vecchio amico di famiglia, che appena li vide, gli andò incontro salutandoli calorosamente.
"Che mi prenda un accidenti! Non credo ai miei occhi. Adam! Adam Francis! Quanto tempo è passato."
Non si aspettavano un' accoglienza così, ed erano in un evidente imbarazzo. Certo, avrebbero dovuto aspettarselo, visto che da quando Sue era morta, non avevano più messo piede in quel locale. Troppi ricordi. Ogni particolare, ogni gesto, tutto in quel posto riportava nella mente di Adam i momenti felici passati insieme alla sua amatissima moglie. Era lì che l'aveva portata al primo appuntamento. Lì le aveva chiesto di sposarlo. Lì Sue gli aveva annunciato di essere incinta di Leonor. E sempre in quel ristorante lei gli disse, un giorno di quindici anni fa, di essere...gravemente malata.
Emozioni importanti, di una vita che lui mai avrebbe potuto e voluto immaginare senza di lei.
"E' vero Tom, troppo tempo è passato.troppo. Ma stasera dovevo festeggiare un avvenimento importante. Poi sono qui, con il mio probabile futuro genero. Ti posso presentare Giorgio Nari, il fidanzato di mia figlia."
Disse il tutto con una punta di orgoglio. Giorgio strinse la mano a Tom il quale, dopo le presentazioni di rito, li accompagnò con evidente soddisfazione al loro tavolo. Il migliore del ristorante. L'atmosfera, piena di serenità, sembrava essere il preludio ad una bellissima serata.
I camerieri cominciarono a servire la cena e, tra una pietanza e l'altra, la conversazione scorreva amabilmente, fino a quando Adam versò del vino nel bicchiere di Giorgio.
"Vediamo un po' se da ubriaco riesco a farti dire qualcosa di piccante sulla tua relazione con mia figlia. Prima di tutto voglio sapere come vi siete conosciuti, dopodichè mi dirai il modo in cui sei riuscito a conquistarla : i posti, le tecniche di abbordaggio, le frasi che hai usato per
corteggiarla, insomma tutto, parola per parola. Allora? Forza dai, comincia! Sono tutto orecchi."
Quella domanda per poco non gli mandò di traverso il vino che stava bevendo. Vicino ad un inizio di soffocamento, Giorgio posò il bicchiere sul tavolo, fece qualche colpo di tosse per riuscire a riprendersi e lanciò un'occhiata d'aiuto a Leonor, seduta di fronte a lui.
"Papà, non ti sembra di essere un tantino sfacciato? Stai mettendo Giorgio in grande imbarazzo."
Come risposta, Adam, fece spallucce.
"Non darle retta, dai comincia!"
Giorgio capì l'inutilità di resistere alle pressioni di Adam. Così si schiarì la gola, posò il tovagliolo sul tavolo e poggiandosi con la schiena sulla sedia, per stare più comodo, iniziò a raccontare.
"Ero agli Uffizi di Firenze per la presentazione di una mostra su Benvenuto Cellini, quando all'improvviso, vagando per le sale, la vidi. Era di fronte ad un quadro del Caravaggio, rapita da quel gioco di luci ed ombre, inconfondibile caratteristica delle opere del grande pittore toscano.
Non ebbi nessuna esitazione e, dopo essermi fatto dare da un inserviente la guida del museo, mi avvicinai a lei, battendogli con un dito sulla spalla.
"Mi scusi signorina?"
Prima di continuare, però, devo fare una premessa. Io non sono mai stato così sfacciatamente ardito. Tutt'altro, mi hanno sempre accusato di essere fin troppo timido con le donne, ma Meg mi aveva folgorato. Non me ne sarei andato da quel museo, senza prima aver saputo il suo nome. Quando si voltò, sommergendomi con i suoi occhioni azzurri vacillai. Era bellissima, pensai
di non riuscire più ad andare avanti, ma quando mi domandò, in inglese, di che cosa avessi bisogno, ripresi conoscenza. Cercai allora di sembrare il più naturale possibile, aprii così il catalogo, andai alla pagina dell'indice e sorriso migliore:
"Mi potrebbe aiutare? Non riesco a trovare, su questo catalogo, la pagina che la riguarda. Vorrei tanto sapere chi è l'autore di un'opera d'arte così meravigliosa."
Meg mi fissò con aria scrutatrice. Aspettavo con ansia la sua reazione. Lei, rimanendo impassibile, mi prese il catalogo dalle mani e dopo averlo richiuso mi disse:
"Su questo non ci sono. Faccio parte di una collezione privata, se vuole può prenotare una visita guidata, a questo numero di telefono".
Detto ciò, mise nella mia mano un biglietto da visita e se ne andò, lasciandomi inebetito in
mezzo alla sala".
Adam diede un buffetto sulla spalla di Giorgio, con l'aria di chi la sapeva lunga.
"Qualcosa mi dice che hai prenotato una visita."
Giorgio fece un profondo respiro, incrociando le braccia.
"A dire la verità non fu così facile. Ovviamente, appena tornato in albergo, la prima cosa che feci fu comporre il numero di telefono scritto sul biglietto. Con mio grande disappunto rispose un uomo ed io, sentendo quella voce maschile, fui quasi tentato di riattaccare immediatamente. Ma la voglia di sapere chi era quella splendida ragazza ebbe il sopravvento. Trovai così
il coraggio e chiesi di poter parlare con Meg."
"Lei è un giornalista?"
Dire che quella domanda mi colse di sorpresa è poco. Come faceva quell'uomo a sapere che ero un giornalista? Decisi di stare al gioco.
"Sì, sono Giorgio Nari, vice direttore della rivista ArteMide ed io con chi ho il piacere di parlare?"
"Buon giorno signor Nari, sono Richard Rain, l'agente della signorina Francis. Se ha chiamato per la personale di stasera a Palazzo Pitti, saremo lusingati di averla con noi. Troverà il suo invito all'entrata, me ne occuperò io stesso, non si preoccupi. Farò anche in modo di ritagliare dieci
minuti per poter intervistare la signorina Francis, senza che nessuno vi disturbi".
Ero in un completo stato confusionale. L'unico modo per capirci qualcosa sarebbe stato presentarsi quella sera, a Palazzo Pitti.
"La ringrazio molto per la sua disponibilità, signor Rain. Allora la saluto, ci vedremo stasera, porti i miei omaggi alla signorina Francis."
"Lo farò senz'altro, a stasera."



CAPITOLO IV

Giorgio l'aspettava seduto sui gradini della veranda. Vide arrivare la macchina, quindi si alzò per andarle incontro. Leonor aprì lo sportello, lui si avvicinò.
"Pensavo che mi avresti dato buca."
"A dire la verità ci avevo pensato, poi mi sono detta: per un tramonto a Land's End, vale la pena di sopportare la sua compagnia."
"Ti ringrazio. Sono contento, la tua stima nei miei confronti, aumenta ogni giorno di più."
Leonor sorrise, seduta in macchina con le mani sul volante, approfittò che Giorgio fosse appoggiato allo sportello aperto per azionare i tergicristalli e, schizzandolo così, con l'acqua che serviva per pulire il vetro.
"Guarda non ti conviene. Sono stato 'Mr. maglietta bagnata' per due anni di seguito."
"Lo so. E' per quello che ti ho bagnato."
"A proposito Leonor, vuoi cambiarti, prima di andare? Metterti le scarpe da ginnastica, un vestito più comodo."
"No grazie, preferisco restare così. Anche perché le scarpe e la tuta le indosso per l'alba. Per il tramonto, serve un vestito da sera e i tacchi alti, non credi?."
"Ok signorina Francis, allora si va. Mi lasci guidare?"
Leonor si spostò, lasciandogli il posto di guida.
"Prego autista, le dispiace se mi metto dietro?"
"Non credo le convenga, 'signora', il frigobar della macchina si è rotto ieri"
"Che peccato, una vera disdetta, avevo proprio voglia di un martini ghiacciato. Lo faccia riparare il prima possibile. Siamo intesi? Autista?"
Leonor disse il tutto con una buffa espressione di rimprovero. Giorgio la fissò in silenzio per qualche secondo poi, sfoderò uno dei suoi sorrisi accennati.
"Quando fai questa faccia sei bellissima."
Lei lo guardò seria e, nella sua mente apparve una scritta: 'let it be'.
Lascia che sia.
"Grazie."

Passeggiando per i sentieri impervi di quelle scogliere, Giorgio capì cosa intendeva Leonor quando affermava che bastava poco per alterare la bellezza di quei posti. Notò immediatamente come tutto ora fosse diverso. Il silenzio, prima cosa, che dava la possibilità al vento di dialogare con l'oceano. I profumi, che liberi di ogni impedimento, aromatizzavano l'aria, miscelandosi con i loro respiri. Ed infine migliaia di colori, che ora si assurgevano a protagonisti, di quel paesaggio talmente bello da sembrare irreale.
Il sole intanto, giocando con la luna, iniziò a nascondersi dietro l'orizzonte. La luce a poco a poco diventò di un rosso soffuso ed ogni cosa lì intorno, sembrava essere illuminata dalla fiamma di una piccola candela.
Creando un perfetto chiaroscuro, degno del miglior Latour.
"Credo che non mi pentirò nemmeno stavolta, di essere venuto qui con te"
Leonor camminava al suo fianco. Oramai non aveva più paura di amarlo, ed ogni qual volta poteva, cercava l'iride dei suoi occhi per vedersi finalmente felice. Ma un senso di colpa, schiaffeggiando la sua volontà, la costrinse a dire una cosa della quale si sarebbe pentita amaramente.
"Finchè non ci verrai anche con Meg, credo che sarà difficile saperlo. Non hai la controprova per affermare di non esserti pentito. Magari passeggiandoci con la persona che ami, questo posto ti sembrerà ancora più meraviglioso."
"Può darsi che tu abbia ragione, ma lo potrò sapere con certezza solo tra cinque giorni. Quando, Meg, sarà finalmente con noi. A proposito, in queste
ultime sere che ci parlo al telefono chiede in continuazione della sua sorella preferita. Evidentemente sentire sempre e solo me inizia ad annoiarla. Credo senta la tua mancanza. Comunque non preoccuparti, le ho già spiegato che ultimamente sei costretta a rimanere in biblioteca fino a tardi, ma che la pensi sempre."
Un velo di tristezza scese sul cuore di Leonor. Era inevitabile, Meg non poteva essere dimenticata. Scosse la testa, come a volersi liberare di quel senso di colpa, che sotto forma di angioletto immaginò apparirle sulla spalla.
"Ma come? Tua sorella si fida di te e tu le rubi il fidanzato!"
Leonor, iniziò un colloquio mentale con la sua coscienza.
"Io.è vero mi sono innamorata di lui, ma non sto facendo niente per portarglielo via. Voglio solo rimanergli vicino questi pochi, ultimi giorni. Parlandoci, non faccio del male a nessuno.
"Non è così Leonor. Fai del male ad una persona meravigliosa che non lo merita. A te stessa."
Si guardò la spalla, ma l'angioletto era scomparso. Era stato solo frutto della sua fantasia. Improvvisamente sentì uno sbattere d'ali in lontananza. Un gabbiano, solo un bianco gabbiano, che volava sopra di lei quasi a voler essere un messaggio, un invito:
"Librati nell'aria Leonor.vola."
Giorgio lesse sul viso di Leonor un senso di profondo turbamento. Così rimase in silenzio, per qualche minuto, per non disturbare con inutili parole, quel suo pensieroso isolamento. Da qualche giorno infatti aveva notato in Leonor un grande cambiamento. Un modo di fare diverso. Ebbe paura di aver fatto qualcosa di sbagliato senza rendersene conto e di aver pregiudicato quel bel rapporto istaurato tra di loro.
"Ti vedo preoccupata, cosa c'è che non và?"
Leonor,gli fece un sorriso sincero, fugando tutte le sue paure.
"Scusami, stavo pensando a quanto fosse sprecato tutto questo silenzio, questa pace, se non hai niente da dire."
Giorgio dubbioso per quella sua risposta un po' strana, la guardò perplesso.
"Non capisco. Cosa vuoi dire?"
"Adesso ti faccio vedere cosa intendo, aspettami qui."


CAPITOLO V

Entrò nell'ospedale correndo e si diresse immediatamente al banco dell'accettazione.
"Buonasera, sono Leonor Francis, oggi pomeriggio avete ricoverato mio padre per un attacco cardiaco, Adam, Adam Francis è il suo nome."
L'infermiera, una signora dal viso paffuto sulla sessantina, toccandosi gli occhialetti, che teneva poggiati sul naso, la fissò. Leonor ebbe una sgradevole sensazione di disagio. Adesso, quasi paranoica, aveva l'impressione che tutte le persone che incontrava fossero a conoscenza del suo segreto e la guardassero con un aria di rimprovero, come a voler dire: 'Ah! Eccola qui la causa di tutto.'
Istintivamente abbassò la sguardo, quasi a voler nascondere la sua colpa.
"Leonor! Sei qui!"
La voce di Giorgio arrivò alle sue spalle come una ventata di liberazione, si girò lasciando all'infermiera la possibilità di fare tutte le congetture che voleva, non le importava.
Vedendolo davanti a se provò l'impulso irresistibile di corrergli incontro ed abbracciarlo. Lo fece, nascondendo la faccia tra le pieghe della sua camicia. Giorgio la strinse a se cercando di calmarla e, con la mano, le massaggiò la schiena.
"Basta, non fare così, va tutto bene, tuo padre sta riposando tranquillamente, smetti di preoccuparti."
Leonor rimase stretta a lui, le sue braccia intorno al suo corpo la facevano sentire protetta, un rifugio dove poter nascondere le sue emozioni. Viveva nell'angoscia di un dito battuto sulla sua spalla, la paura di rimanere senza di lui che le diceva: 'eccomi qui, sono dietro di te, appena
ti volterai, dopo che lui ti avrà lasciato, ci sarò solo io a farti compagnia. l'incancellabile solitudine.'
Si strinse a lui, ancora più forte. Giorgio, senza smettere mai di abbracciarla, l'accompagnò nella sala d'aspetto e la fece mettere seduta. Con la mano le sollevò il mento, tirò fuori dalla tasca il suo fazzoletto e le asciugò gli occhi inumiditi dalle lacrime.
"Tieni soffiati il naso"
"Scusami Giorgio, mi sto comportando come una bambina, la mia non è una bella dimostrazione di autocontrollo, vero?"
Si soffiò il naso, guardandolo imbarazzata Lui le fece una carezza, la prima. un ricordo.
"Scherzi? La tua è una reazione naturale, stiamo parlando di tuo padre, mica di una persona qualsiasi."
Lei gli strinse la mano dolcemente.
"Ma come è successo? Non riesco a capire, eppure mio padre non ha mai sofferto di cuore."
Giorgio rimase in silenzio.Cominciava a capitargli troppo spesso. Capì che non poteva dirle la verità, si sarebbe sentita in colpa anche lei, stando ancora più male, ma lui non poteva sapere che Leonor stava già soffrendo tremendamente. Così le raccontò come si erano svolti i fatti omettendo quei particolari riguardanti lei e Meg. Si sentiva responsabile e aveva paura che
Leonor si arrabbiasse con lui per aver discusso con suo padre, causandogli quel malore.
"Stavamo parlando... all'improvviso è rimasto in silenzio, si è portato la mano al petto con una smorfia di dolore, poi è caduto a terra privo di sensi."
"Deve essere stato terribile."
"Già, ho vissuto attimi terribili, vederlo così sul pavimento che non dava segni di vita è stato."
Mentre Giorgio parlava, arrivò il dottore che si era preso cura di Adam al suo arrivo all'ospedale.
"Buona sera, sono il dottor Jones, lei è la figlia del signor Francis, non è vero?"
"Si, sono Leonor Francis. Come sta mio padre dottore, mi dica?"
"E' fuori pericolo adesso, ma dovrà rimanere per qualche giorno in osservazione. Una prassi normale per chi ha avuto un attacco cardiaco. Dobbiamo vedere da che cosa può essere dipeso questo suo malore improvviso. Ma suo padre non ha mai avuto problemi con il cuore fino ad oggi?"
"No mai, è stato sempre in ottima salute."
Il dottore spostò il suo sguardo su Giorgio, seduto accanto a Leonor.
"A proposito, suo padre deve ringraziare questo signore, se non fosse intervenuto immediatamente praticandogli il massaggio cardiaco adesso sarebbe morto. Gli ha salvato la vita."
Leonor poggiò affettuosamente una mano sopra quella di Giorgio.
"Qualsiasi persona al mio posto avrebbe fatto lo stesso, dottore."
"Sicuro, ma fortunatamente per il signor Francis, quella persona si è rivelata davvero molto in gamba."
Leonor si alzò in piedi, visibilmente impaziente.
"Posso vederlo dottore?.Solo per un momento, la prego."
La sua voce rotta dall'emozione impedì al dottore di dargli una risposta negativa.
"Va bene, ma solo per poco e non lo faccia parlare troppo, deve riposare. Ok, allora salite quelle scale davanti al banco dell'accettazione, al secondo piano, è nella stanza cinque, avvertirò l'infermiera di turno affinché vi faccia passare."
"Grazie dottore, è stato molto gentile."
"Non mi ringrazi, sto facendo soltanto il mio lavoro. Ora devo proprio andare, auguri per suo padre signorina, vedrà si rimetterà presto."
Strinse la mano ad entrambi e si allontanò per tornare dai suoi pazienti. Salirono le scale tenendosi sottobraccio e forse neanche si resero conto che farlo stava diventando una cosa naturale.
"Sai Giorgio, penso con orrore a cosa sarebbe potuto accadere se tu non fossi stato con lui, se fosse stato da solo, ora.sarebbe morto. Il destino a volte è così strano, fino a qualche giorno fa per me e mio padre eri un perfetto sconosciuto, stamattina gli hai addirittura salvato la vita."
E hai fatto innamorare le sue due figlie. Ma questo Leonor lo poté solo pensare.
"Già è stata proprio una fortuna per Adam che io mi trovassi in casa"
Giorgio disse quelle parole abbassando lo sguardo, sapeva di non meritare i ringraziamenti di Leonor, il senso di colpa si fece più pesante, stava per confessarle la verità su quanto era realmente accaduto quel pomeriggio in quella cucina, della discussione avuta con Adam, quando Leonor.
" Sai Giorgio, penso che l'attacco cardiaco di mio padre sia avvenuto a causa mia, è per questo che non riesco a darmi pace, mi sento terribilmente in colpa."
"A causa tua? Perché dici questo."
Giorgio rimase molto sorpreso da quella affermazione, la sua espressione stupita convinse Leonor a continuare.



CAPITOLO VI

Bussò alla stanza numero cinque e, fu sollevato nel sentire la voce di Adam che lo invitava ad entrare. Aveva deciso di fargli una visita per vedere come stava e per salutarlo prima di partire. Lo trovò seduto sul letto, con la schiena appoggiata alla spalliera con dietro due cuscini enormi.
Quando entrò, Adam stava guardando fuori dalla finestra.
"Ciao Adam. Come stai?"
Voltò lo sguardo verso di lui, riconoscendo la sua voce.
"Ciao Giorgio, sto bene, sicuramente meglio dell'ultima volta che ci siamo visti."
La freddezza del suo comportamento, lasciava intuire che il rancore che provava nei suoi confronti, non era ancora sopito.
"Sono venuto a salutarti. Parto domani mattina, con il treno delle cinque."
Il suo viso non lasciò trasparire nessuna sorpresa, sembrava quasi che lo sapesse.
"La mia segretaria mi ha chiamato stamattina, sono sorti dei grossi problemi con l'editore, pare voglia chiudere la rivista. Così il mio capo vuole che torni a Roma immediatamente. Ho già il biglietto aereo prenotato all'aeroporto di Londra."
Era la scusa più veritiera che avesse trovato. Rimuginandoci sopra tutta la notte, non era riuscito a inventarsi niente di meglio. Fortunatamente Adam non era a conoscenza della tiratura della rivista per cui scriveva, altrimenti si sarebbe fatto una bella risata.
Migliaia di copie vendute in Italia, esportata anche all'estero, con uno dei siti internet più visitati del settore. E come se questo non bastasse il suo proprietario era un noto multimiliardario.
Adam però lo guardò lo stesso con aria perplessa, evidentemente non era stato tanto convincente.
"C'è il rischio che tu rimanga disoccupato?"
Disse quella frase con un espressione quasi di compiacimento.
"Non penso. Che tu ci creda o no, ho parecchi estimatori in Italia pronti ad accogliermi a braccia aperte."
"Sai mi preoccupo solo per il futuro di mia figlia, visto che potrebbe diventare la signora Nari."
Un sorriso ironico si disegnò sul suo volto. Non c'èra più nessun dubbio, l'attacco cardiaco era già diventato per Adam solamente un ricordo.
"A proposito, hai avvertito Meg del cambiamento di programma. E' incredibile, sembra che questa vacanza insieme per voi non debba iniziare mai. Continuate a rincorrervi da una parte all'altra dell'Europa, senza trovarvi."
"Sì le ho telefonato subito dopo aver parlato con la mia segretaria."
Come fosse difficile mentire lo stava scoprendo solo adesso. Era stremato, gli sembrava di essere sotto interrogatorio. Parlava, parlava, parlava. Una volta gli era capitato di leggere un discorso di Talleyrand, il noto statista Francese, egli affermava che 'le parole servono agli uomini, solo per nascondere i pensieri '. Era pienamente d'accordo con lui. Improvvisamente Adam, lo incalzò con una domanda alla quale sarebbe stato molto difficile mentire. Lui lo sapeva.
"E Leonor? Lo sa Leonor che domani te ne andrai?"
Giorgio cercò di mantenersi impassibile, come se quel problema non lo sfiorasse nemmeno.
"Ancora no. Pensavo di dirglielo stasera."
"Gli dispiacerà molto."
"Anche a me dispiace lasciarla."
E non puoi sapere quanto pensò. Adam strinse con forza il lenzuolo. Un lampo d'ira attraversò i suoi occhi. Divenne caustico. Il pensiero di quanto avrebbe sofferto Leonor, lo fece straparlare. Ma lui non poteva sapere che Giorgio andandosene cercava solo di proteggerla. Non poteva sapere che Giorgio andandosene, ignorasse che Leonor era perdutamente innamorata di lui.
Colpì duro, sotto la cintura.
"Comunque non devi preoccuparti per lei, tanto la rivedrai al matrimonio. Farà da damigella a Meg!"
In quel momento la rabbia avrebbe potuto prendere il sopravvento. Ma si era stancato di giocare a guardie e ladri, così decise di mettere fine a quella conversazione.
"E sappiamo entrambi che quel giorno, il giorno del matrimonio lei sarà bellissima."
Adam gli sorrise.
"Bellissima certo."
Si avvicinò al letto e gli porse la mano.
"Ciao Adam, è stato un vero piacere conoscerti. Spero che un giorno ci rivedremo."
Adam gliela strinse, poi inaspettatamente, lo tirò a sé abbracciandolo in modo molto affettuoso.
"Ciao figliolo, sappi che ho sempre sognato di avere un genero come te Stammi bene e buon viaggio."
Giorgio si staccò da lui visibilmente commosso, non se l'aspettava.
"Bene, allora ciao."
Aprì la porta per uscire.
"Giorgio!"
"Che c'è?"
"Grazie per avermi salvato la vita."
Voltandosi con la mano sulla maniglia della porta, gli fece l'occhiolino.
"Come avrei potuto non farlo. Lo sai che quel giorno voglio che tu l'accompagni all'altare."


CAPITOLO VII

Meg scese dal taxi, pagò l'autista, prese le sue valigie e si diresse furibonda verso l'entrata della casa. Tanto era arrabbiata che nemmeno si accorse della differenza, dovuta alla nuova mano di vernice data da Giorgio e suo padre pochi giorni prima.
Entrò in giardino sbattendo il cancello di legno con rabbia, tanto da far tremare tutto lo steccato. Si avvicinò alla veranda e vide Leonor tranquillamente seduta, affrettò il passo e finalmente le fu di fronte.
"Ma che diavolo ti è saltato in mente! Ti ho aspettato per più di quaranta minuti alla stazione pensando che arrivassi a prendermi. A dire la verità, quando sono scesa dal treno ero convinta di trovarti già lì ad attendermi. Alla fine, quando ho capito che non saresti più venuta, ho addirittura telefonato qui a casa per sapere cos'era successo, ma non rispondeva nessuno e sapendo delle condizioni di papà ho pensato che avesse avuto una ricaduta, che si fosse aggravato, mi sono preoccupata da morire. Perché non hai risposto! Me lo spieghi! "
Solo allora la sua attenzione fu attirata da un particolare, che in un primo momento in preda all'ira non aveva notato. Smise di parlare. Leonor portava degli occhiali da sole, fatto inusuale per chi come lei, aveva sempre odiato metterli, e poi si rese conto che da quando era arrivata
e aveva cominciato a inveirle addosso non aveva mosso la testa di un centimetro, continuando a guardare fisso davanti a lei, verso il mare.
"Leonor, dimmi è successo qualcosa a nostro padre?"
Le rispose facendo no con la testa e tamponandosi il naso con un fazzoletto. Indossava anche degli enormi guanti di lana.
"Allora, mi vuoi spiegare che cosa ti è successo? E fammi il favore levati questi occhiali da sole. E' un anno che non vedo i tuoi bellissimi occhi verdi, sinceramente mi aspettavo un'accoglienza più calorosa da parte tua."
Detto questo glieli sfilò dal viso, ma arrivata all'altezza del naso si bloccò rimanendo immobile con le mani che tenevano gli occhiali sospesi a mezz'aria. I suoi occhi struccati e rossi per il pianto lasciarono Meg sconcertata. Finì di levarle gli occhiali e, dopo averli poggiati delicatamente per terra prese le mani di sua sorella. Si accorse così che stava tremando.
"Stai morendo dal freddo. Ma da quant'è che sei qui seduta? Rispondimi Leonor! Ti preg .parlami.
Finalmente Leonor girò la testa verso di lei e le fece un sorriso ma fu un sorriso pieno di tristezza.
"Dalle sei di stamattina. Da quando sono tornata dalla stazione."
Meg non riuscì a comprendere in pieno il senso di quella risposta, ma una cosa la lasciò perplessa, se suo padre era ormai fuori pericolo e stava bene, perché Leonor continuava ad essere così tremendamente disperata per l'inaspettata partenza di Giorgio? Un dubbio cominciò a farsi strada nella sua mente. E se ne fosse innamorata anche lei? Il puzzle cominciava a comporsi, Meg cercò di mettere ogni pezzo al posto giusto. Ma di una cosa però era sicura, sua sorella ignorava il fatto che lui ne fosse perdutamente innamorato. Così decise per il momento di non chiederle niente riguardo Giorgio, ma aveva la sensazione che la possibilità di avere un cognato meraviglioso cominciasse a farsi reale.
"Ora vieni dentro Leonor, ti preparo del the con qualcosa da mangiare, così ti riscaldi un po'. Non puoi stare a digiuno per tutto il giorno, rischieresti d'ammalarti. Dai, entra!"
Meg gli prese la mano, aiutandola ad alzarsi. Ed insieme entrarono in casa.Erano sedute in cucina, come ai vecchi tempi, nello stesso modo di allora, una accanto all'altra. E cominciarono a parlare alla solita maniera senza guardarsi.
"Scusa Meg, per non esserti venuta a prendere alla stazione, mi dispiace di averti fatto aspettare tutto quel tempo e soprattutto di averti fatto preoccupare. Sono stata una stupida ma ultimamente mi capita spesso sai?"
"Non importa. Ti ho già perdonato. Sono troppo contenta di vederti, mi sembra un sogno essere seduta qui accanto a te.. Tu e papà mi siete mancati tanto. E mi è mancato soprattutto il tuo buonissimo the inglese."
Lo disse immergendo un biscotto nel the di Leonor.
"Ti ricordi sorellona da piccola lo facevo sempre e tu ti arrabbiavi tantissimo e con un vocione mi dicevi: Meg una lady non si comporta in maniera così maleducata! Ed io con aria angelica ti rispondevo: ma io lo faccio perché ancora non sono una lady, sono una bambina piccola. E allora tu alzavi gli occhi al cielo esasperata e mi sorridevi."
Leonor le annuì con la testa ed immerse a sua volta un biscotto nella tazza di Meg.
"Mi sono stufata di essere una Lady."
"Brava! Questo è parlare."
Risero entrambe, l'atmosfera in quel momento era serena, ma presto intavolare l'argomento Giorgio sarebbe stato inevitabile. Ne erano consapevoli, così cercavano il modo di prendere tempo.
"Come sta papà?"
"Adesso bene, ma se l'è vista davvero brutta. Se non fosse stato per Giorgio."
Leonor si rese conto di aver pronunciato quel nome, quando ormai era troppo tardi. Rimase in silenzio, lasciando il discorso a metà. Meg intuendo il disagio di sua sorella cercò di aiutarla riportando il discorso su suo padre.
"Non capisco come sia potuto succedere. Lui non ha mai sofferto con il cuore."
Leonor la ringraziò mentalmente, per la sua delicatezza, ma era cosciente che non avrebbero potuto continuare così per molto tempo. Era inutile continuare a nascondere la testa sotto la sabbia.
"Penso che la maggior parte della colpa sia mia."
"La tua?"
Leonor prese fiato e soprattutto coraggio, ed iniziò a liberare il suo pesantissimo cuore.
"Sì! La sera prima ho avuto con lui un bruttissimo litigio."
Meg l'interruppe spalancando gli occhi, con un espressione incredula.
"Tu hai litigato con papà? Non ci posso credere a questo punto sono curiosa di sapere il motivo che ha causato questo primo litigio tra te e papà."
Leonor girò la sedia mettendosi di fronte a Meg, rimase per un attimo in silenzio non si sentiva pronta, ma non aveva importanza ormai. Doveva confessarle la verità.




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